Fabrizio De André in direzione ostinata e contraria

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Estratto dall’Introduzione:

Di fronte alla figura, alle parole, alla voce, alla musica di Fabrizio De André è difficile rimanere indifferenti. Fa scandalo la sua eccezionale coerenza di uomo. Di persona capace di capire e perdonare gli esecutori mate­riali del suo rapimento (avvenuto nel 1979); di cantante che sfugge a tutte le leggi dello star­system (per costruire un’azienda agricola in Sardegna); di poeta da sempre dalla parte di “chi viaggia in direzione ostinata e contraria/ col suo marchio speciale di speciale disperazione”; di anarchico sognatore, convinto che la vera libertà degli uomini un giorno si realizzerà, anzi si è già realizzata nei “diversi” (prostitute, barbo­ni, indiani d’America, zingari, ecc.).

De André legge la storia dell’umanità come perenne scontro dialettico fra il Potere – con tutti i suoi rappresentanti – e la gente comune – che il potere deve subire. Uno scontro dialettico, dice­vo, ben lontano dall’ottica marxista, non venen­dosi ad avere in lui nessuna sintesi (e d’altronde De André è ben più attratto da Backunin e Stirner che non da Marx e Engels). In questo scontro l’uomo può accettare la sottomissione (alle regole, alle convenzioni imposte dalla mag­gioranza) o cercare di curare il proprio giardino creandosi una propria scala di valori e un pro­prio modo di vivere.

Ma vediamo più da vicino questi due mondi che tornano praticamente in tutti i suoi lavori.

Il Potere è come una figura reale (quasi un Leviathan di hobbesiana memoria) che riesce a sopravvivere sotto diverse forme in tutte le epo­che dell’umanità. È il re che ruba la moglie al marchese, il quale dovrà sottostare alla decisio­ne del suo sovrano (Il re fa rullare i tamburi); sono i farisei che mandano a morire Gesù e che sulla Via della croce “han volti distesi già incline al perdono/ormai che han veduto il [suo] san­gue di uomo/fregiar[gli] le membra di rivoli viola,/incapace di nuocere ancora”; è il genera­le di vent’anni che fa trucidare una tribù indiana composta di soli donne, vecchi e bambini (Fiume Sand Creek); è il mercante borghese capace di dimenticare in fretta la morte del figlio, facendo sposare la figlia con un ricco tedesco (Ottocento). Ma il Potere è, ovviamente, più subdolo e non sempre si materializza nelle figure che materialmente hanno poteri decisio­nali (re, principi, ministri, ecc.). Il Potere è ciò che ha imposto schemi fissi di pensiero e che è pronto a distruggere tutto ciò che è alternativo (verrebbe in mente il discorso di Pasolini sul genocidio culturale del sottoproleta­riato). Il Potere – per usare un’espressione di Vittorini – è composto da “tutte le facce offensive che ridono per le offese compiute e da compiere (Conversazione in Sicilia). Il Potere è come le nuvole che “vanno/vengono/[e] per una vera/mille sono finte/e si mettono tra noi e il cielo/per lasciarci soltanto una voglia di pioggia”. Difficile non restare imbrigliati nelle sue Leggi”.

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